Recensione di REGINE, un romanzo di Paolo Sciortino…
Magnificente. Questo, fra i diversi aggettivi che il romanzo evoca, ne sintetizza meglio degli altri l’essenza.
Il libro, in verità, non è scritto da Sciortino ma da Carolina d’Austria, di proprio pugno, e da sua sorella Antonia d’Asburgo, per interposta persona, anche attraverso il loro scambio epistolare negli anni. E se non c’è miglior modo di raccontar la storia che con l’uso della narrativa, Carolina d’Asburgo, monarca di Napoli, e Maria Antonietta di Francia, la regina che perse la testa, si tramutano da icone prive di sostanza apprese dagli insegnamenti didascalici e scolastici a personaggi amici e noti, esseri di reale pensiero e azione, olografie umanizzate e rese tridimensionali, terribilmente vive, al punto di sentirle accanto e di percepirsi nel loro tempo e nei luoghi che ne segnarono imprese e sconfitte, apogei e picchiate, andate e ritorni. La trama, così, che insegue le vite delle due regine imporporandosi di alcune trovate narrative che legano le vicende e impreziosiscono l’opera di Sciortino, aspira il lettore sino a farlo sedere di fianco a Carolina Charlotte, per consigliarla e spronarla, per asciugarne le lacrime, per sopirne le disillusioni. E con essa la sua epoca, i moti giacobini, le avanzate napoleoniche e i pavidi timori di un impianto monarchico europeo che inizia a presentire la propria caducità e una fine imminente e immanente.
Eppure la storia si defila, pudica, in un piano secondario rispetto alla cifra stilistica usata da Paolo Sciortino, o da Carolina d’Asburgo che dir si voglia, talmente raffinata e calibrata, istintiva e studiata nel contempo, copiosa e regale quanto gli sfarzi abbacinanti dello Schönbrunn, da far rimanere attoniti e rapiti sin dalle prime pagine, spauriti di fronte a un utilizzo sintattico principesco, anzi imperiale, che riconcilia con la vera letteratura, impalma Sciortino come uno dei migliori autori italiani e rende questo romanzo, senza ombra di dubbio alcuna, tra i migliori mai letti negli ultimi anni. Quasi che a scriverlo fosse stata, davvero, Carolina d’Austria.
Alessandro Vizzino